quando si parla di avanzi ognuno ha la sua: chi preferisce surgelare tutto per eventuali tempi stretti, chi li regala perché odia mangiare due volte lo stesso piatto, chi li ricicla in operazioni di recupero più o meno riuscite, chi infine apre il frigorifero e ama trovare “la ciotolina di parmigianina diaccia” (ghiacciata) per riempire il buco allo stomaco (cit.).
Io mi rivedo in tutte queste, e vuoi la noia, vuoi esplicite richieste (“mi fai le polpetteee?”), alla fine ci si reinventa sempre un po’.
Ultimamente di ricicloni carini ne son venuti fuori un paio: ve li presento qualora vogliate prenderne nota.
Per riciclare la farinata: dadini nella vellutata!
La farinata si prepara con 250 g di farina di ceci stemperati in 750 ml di acqua, un pizzico di sale e un paio di cucchiai di olio. Va fatta riposare almeno tutta la notte, mescolando quando vi ricordate, e poi cotta a 250° per 30 minuti circa, in una teglia bella unta di olio bollente. Aggiungere pepe in abbondanza.
La vellutata prevede un soffritto di cipolla e paprika, poi patate a dadini e spinaci anche surgelati, tutto coperto di acqua o brodo vegetale. Dopo 20-30 minuti al massimo, frullare.
Per riciclare invece la classica zuppa di legumi misti: purpett’!
La zuppa si prepara mettendo a mollo per una notte 250 g di misto-per-minestra-di-legumi, poi cotti con un pezzetto di alga kombu. A fine cottura dei legumi aggiungere un soffrittone di verdure e erbe a piacere e cuocere finché le verdure non sono tutte cotte. Olio, sale, pepe, via.
Le polpette si fanno frullando la zuppa “asciutta” (scolata dall’eventuale brodino) con un pezzo di cipolla e una costa di sedano a dadini, sale, pepe bianco, pangrattato/fiocchi di avena e prezzemolo. Passare nel pangrattato e dorare in padella con un goccio d’olio. Se poi avete anche il sugo da riciclare, la morte sua, allora ciaone.
gioia e tripudio, finalmente arriva la stagione degli agretti (la barba di frate, per intenderci)! Al momento riesco a trovarli al mercato, in un banco solo, che mi prende anche in giro (nessuno capisce la potenzialità di questa verdura prodigiosa).
Quindi, primi mazzetti mangiati al naturale (cotti al vapore, olio e limone) per placare le voglie, poi immediatamente il flan di veganriot (http://www.veganriot.it/ricettario.php?vegan=5&ricetta=57), infine si comincia a ragionare…
Ieri sono tornata dal mercato con olive condite e pomodori secchi (tra le altre cose, eh, mica vi voglio in pensiero per me: mangio, mangio, grazie mamma, sto bene) e una fame allucinante. Alle dodici e quindici in tavola c’era questo. Ho aggiunto un filo di Tonda Iblea per dare ancora più sapore e via: missione compiuta anche stavolta.
Cosa serve (per 2):
due piccoli mazzetti di agretti
sei olive condite
sei pomodori secchi
due spicchi di aglio o (nel mio caso) una dozzina di foglie e boccioli di aglio orsino
peperoncino
olio Tonda Iblea (un extravergine siciliano biologico, buono da morì: vedi qui)
100 g di farina di ceci
sale
origano
Come si fa:
Pulite gli agretti. Lo so, è una menata. Ma vi giuro sul mio robot da cucina che ne vale la pena al centopeccento.
In una padella capiente, scaldate un filo di olio con l’aglio (tagliato a metà e privato del germoglio, oppure le foglie tagliate a pezzi) e il peperoncino. Aggiungete gli agretti puliti e lavati, le olive, i pomodori secchi tagliati a pezzi e rimestate per un paio di minuti. Aggiungete un cucchiaio di acqua, coprite e fate cuocere una decina di minuti a fuoco medio (assaggiateli per verificare il grado di cottura). Non salateli: bastano e avanzano i pomodori secchi.
Nel frattempo preparate la pastella: in una terrina mescolate la farina e 180/200 g di acqua aggiunta poco per volta per non fare grumi. Unite una presa di sale e una di origano.
Scaldate un padellino di 24 cm circa di diametro con un filo d’olio. Quando è ben caldo, versate due mestoli di pastella e ruotate la padella per coprire bene il fondo. Coprite con un coperchio. Dopo un paio di minuti a fuoco medio-basso provate a sollevare il fondo con una paletta: se è ben cotto e dorato, rigirate la frittatina e coprite di nuovo. Dopo un altro paio di minuti, farcitela con metà degli agretti, piegatela e servitela con qualche foglia di insalata e una fetta di pane ai cereali.
Ripetete l’operazione per l’altra crespellina, ungendo di nuovo la padella 🙂
E insomma prima o poi si doveva ricominciare con qualcosa, da queste parti.
Del perché ricominciare con una piadina, non avete idea.
Come al solito, arrivano quei momenti stagionali in cui il numero di vasetti, barattoli e sacchetti nella dispensa supera di gran lunga la capacità contenitiva della stessa. Di solito, sono anche quei momenti in cui apri il frigo e dici “ah ma cosa mangio oggi? Non c’è niente”. Ecco. Non è vero. Adesso hai tempo e non sei più obbligata a mangiare una cosa al volo tra un capitolo e l’altro, e quelle farine andranno a male se non le adotti. È tuo dovere ricavare qualcosa da quelle polveri, che non siano castelli di sabbia sul lavello.
Ieri dovevo quindi andare a fare la spesa perché non avevo niente in casa, solo dell’insalata sul viale del tramonto, un botto di salse-salsine-salsette, del latte di soia (evento!) e l’ormai famosa dispensa straripante di barattoli mezzi vuoti. Nemmeno una cipolla (senza cipolla non vale la pena vivere, ma c’era almeno dell’aglio per risollevare le sorti del mio pranzo che andava a disegnarsi tristissimo).
L’ordine dei pensieri è stato: vabbè con l’insalata ci mangio delle polpette, per forza, magari col miglio così libero quel barattolo – abbondiamo di spezie così non si sente la mancanza di verdure – oddio non ho il pane – panico – no non esiste, adesso cerco la ricetta della piadina, mica deve lievitare quella – già che ci sono uso pure quella farina di canapa.
Il risultato, però, è andato molto oltre le mie aspettative (che non erano altissime, lo ammetto). La farina di canapa dona un twist noccioloso che rende la piadina a tutti gli effetti golosissima già da sola, io me la immaginavo accompagnata da una crema di tofu… meraviglia.
Questa ricetta serve anche da pretesto: non ho fatto la piadina in casa perché sono pigra e non voglio scendere a comprare il pane (uhm, anche, ma non è il punto ora). Io faccio la piadina in casa perché posso farlo, perché al termine del pranzo non avrò buttato una confezione di plastica nel cestino, perché avrò risparmiato dei soldi, perché avrò mangiato una cosa più sana.
Io credo nell’autoproduzione, e ci credo tanto, ma con tutte le contraddizioni insite nel mio stile di vita, dirlo ha senso solo se serve come stimolo costante. Mi sposto in bicicletta e con i mezzi pubblici ma ho uno smartphone, uso prodotti di stagione ma poi alle banane non resisto, raccolgo le erbe spontanee ma vado al supermercato, faccio la piadina superhealthy e poi friggo le polpette (con tutti i problemi di smaltimento dell’olio, pure!). Come uscirne?
Credere nelle sfumature di grigi: io sto tra il bianco e il nero, oggi sono grigio perla, domani sono antracite, vivo nella consapevolezza di quello che faccio e questo mi basta, quasi sempre.
Cosa serve (per 4):
per le polpette:
un bicchiere di miglio lavato
l’equivalente di un dado per brodo (di verdure)
prezzemolo, basilico, origano
un cucchiaino di semi di coriandolo pestati
uno spicchio di aglio tritato
3 cucchiai colmi e stracolmi di farina di ceci
farina di mais per le panature (mezzo bicchiere, a occhio) o pangrattato
un limone
olio evo, olio per friggere
sale
per le piadine:
250 g di farina di tipo 1
3 cucchiai colmi di farina di canapa
150 ml di latte di soia
4 cucchiai di olio evo
1 cucchiaino di sale
1/2 cucchiaino di bicarbonato
Come si fa:
Polpette:
scaldate un goccio d’olio in una padella, unite il miglio, tostatelo leggermente e versateci sopra 3 dosi di acqua bollente (per un bicchiere: tre bicchieri) e il dado sbriciolato (io ho usato quello fatto in casa da un’amica, eh eh). Coprite e cuocete a fuoco medio-basso per venti minuti, poi spegnete e fate riposare ancora un po’. Nel frattempo preparate l’impasto della piadina.
Trasferite il miglio in un robot, aggiungete le spezie e l’aglio, la farina di ceci, un pizzico di sale, un giro d’olio, il succo di mezzo limone e frullate bene. Versate l’impasto in una ciotola e aggiungete la farina/pangrattato finché non appare compatto. Fate riposare.
Formate delle palline dalla grandezza di una grossa noce, bagnandovi le mani in acqua per aiutarvi.
Scaldate un dito di olio in un pentolino con un pezzettino di pane all’interno: quando sfrigolerà sarà l’ora delle polpette. Friggetene poche alla volta, cercando di lasciarle immerse almeno per metà della loro altezza, poi giratele e quando sono ben dorate uniformemente scolatele e poggiatele su un piatto con carta assorbente. Quando le avete finite tutte, trasferitele su un piatto e spruzzatele col succo del mezzo limone rimasto.
Piadine:
riunite in una terrina le farine, il sale, il bicarbonato, l’olio. Scaldate il latte in un pentolino finché non diventa tiepido, versatelo in più riprese nell’impasto, mescolando piano. Alla fine lavorate brevemente il composto su una spianatoia infarinata finché non risulta morbido e non appiccicoso. Capovolgete la terrina sulla pallina di impasto e fatelo riposare almeno trenta minuti. Nel frattempo fate le polpette.
Riprendete l’impasto, dividetelo in quattro, stendetelo molto sottile con un mattarello, staccandolo e capovolgendolo più volte e, se serve, infarinandolo poco. Scaldate una padella pesante e quando è molto calda cuocete la piadina, girandola più volte in modo che cuocia uniformemente da entrambi i lati.
E ora il momento più agognato: la farcitura. Io ho optato per l’ajvar (una salsa di peperoni, in questo caso piccante), ma voi potete spaziare. Accompagnate con verdura cruda abbondante!
oggi avevo proprio voglia di hummus. Ieri infatti, frugando in dispensa, ho trovato dei sacchettoni di legumi donati da un’amica. Ammollo e andare, ceci miei adorati.
Oggi li metto a cuocere in un sacco di acqua, ci metto pure l’alga kombu, li schiumo, faccio la brava.
Cuociono.
Che strana schiuma che fanno però neh. Ma guarda poi che vengono via tutte le bucce… ma chissà come mai.
Era soia gialla, non ceci, o mia cara betti. Scordati l’hummus.
Con la coda tra le gambe per non aver capito prima che quegli strani ceci erano un po’ troppo tondi tondi per essere effettivamente ceci, ho deciso che quella polpa così pastosa poteva finire solamente nelle polpette.
Aglio e prezzemolo e vai di frullatore, come olio ho scelto il gusto eccezionale del biologico siciliano Tonda Iblea (incredibile! davvero un’esplosione di sapori), la consistenza è perfetta e non servono altri leganti (giusto un cucchiaio di farina di ceci per essere sicuri in cottura). Poi, non so come, mi sono venuti in mente quei due milioni di stecchi che giacciono in una delle mie borse da cucina (sì, la mia cucina non ha cassetti -per ora- e quindi tutte le cose più inutili sono o appese o in borse appese o in scatole in mobili appesi). La soddisfazione di mangiare la polpetta da uno stecco non ve la sto nemmeno a spiegare. Dico solo: meno male che ne ho fatti otto 🙂
Tritate aglio e prezzemolo, poi frullateli con la soia, l’olio di girasole, il peperoncino e il sale. Versate in una ciotola e impastate con la farina di ceci e l’uvetta. Dividete l’impasto in otto e premetelo con due mani attorno allo stecco cercando di comprimerlo ben bene e non lasciare aria. Mettete su un vassoio/una teglia rivestita di carta da forno e fate riposare in frigo un paio d’ore.
Al momento opportuno, scaldare un goccio d’olio e cuocere un paio di minuti per “lato”.
La salsa la preparate frullando yogurt, olio, limone e sale. Accompagnate con mela e cavolo a fettine, erba cipollina per guarnire e un filo di olio extra su tutto il piatto prima di gustare (nella foto non si vede perché l’ho aggiunto dopo).
La frittata senza uova è stato uno dei miei primi colpi di fulmine con la cucina vegan… veloce, sana, senza colesterolo, super saporita, versatile e croccantina: una goduria. In particolare adoro la frittata di pasta, è un modo meraviglioso per consumare gli avanzi e creare un pasto completo in pochi minuti. Fatevi tentare dalla farina di ceci, non ve ne pentirete 🙂
La pasta che ho avanzato è la classica pasta dell’inverno (fusilli con broccoli, pomodori secchi, aglio, capperi, olive) condita non con l’olio pugliese ma con quello ligure, che riprende le olive del condimento e abbraccia tutto in un trionfo verde, senza coprire. Meraviglia!
Cosa serve:
un piatto scarso di pasta condita con broccoli e avanzata
a scelta potete aggiungere altri capperi, pomodori secchi, broccoli…
sale, origano
Come si fa: In una ciotola capiente stemperate un bicchiere di farina con un bicchiere di acqua, senza fare grumi. Salate e profumate con una presa di origano e un goccio d’olio. Aggiungete la pasta fredda e mescolate. Scaldate due cucchiai di olio in una padella, versate il composto e livellatelo con il dorso di un cucchiaio. Coprite e lasciate andare una decina di minuti. Quando è ben cotta sul fondo giratela con un piatto o un coperchio e cuocetela brevemente dall’altro lato. Ottima anche nel panino!
Invece piove, toh! Ma la pastasciutta avanza sempre… anche quando piove, anche quando si diventa madri.
[rullo di tamburi]
Ladies and gentlemen, non ho ucciso la pasta madre! Giubilo! Il pane (farina integrale e segale) stavolta l’ho fatto io, mi pare doveroso sottolinearlo.
Cosa serve:
un piatto di pasta (meglio se lunga) cotta, condita e avanzata
mezzo bicchiere di farina di ceci
acqua qb
sale
olio
+ pane, basilico e companatico
Come si fa:
In una ciotola mescolate la farina di ceci con l’acqua. Mettetene poca per volta, stemperate bene per non fare grumi, la consistenza finale deve essere come la panna liquida. Aggiungete un goccio d’olio, il sale e mescolate bene!
Quindi prendete un padellino (diametro 20 cm) che sia antiaderente per davvero, mettete un goccio d’olio e scaldate la pasta. [parentesi pasta: la mia era spudoratamente un riciclo del riciclo (altro che nonne, qua batto tutte in economia domestica!): il condimento infatti era il ripieno delle zucchine della sera prima (e cioè muscolo di grano, pomodori secchi, basilico, origano, issopo, pane in cassetta, cipollotti, lievito alimentare e credo basta ma non ci giurerei). Ci ho condito delle linguine. Fine parentesi pasta]
Quando è tutto molto caldo versate la crema di ceci e smuovete la padella in modo che scenda bene sul fondo. Basta, ora tenetela un minutino o due a fuoco alto e poi abbassate la fiamma. Quando si sta asciugando in superficie controllate il fondo, se è dorato e si stacca bene girate la frittata aiutandovi con un piatto o un coperchio, e cuocete dall’altro lato finché non è dorata e croccantina. Tempo totale della cottura: 20 minuti al massimo.
Nel frattempo potete decidere che magari un po’ di verdura cruda non vi ucciderà (anzi) e quindi potete lavarla e tagliarla, poi tagliare il pane e tostarlo leggermente (qua ci si vizia), lavare il basilico che ci sta proprio bene, cose così.
Alla fine è un piatto spudoratamente da divano. Bisogna adattarsi.
Questo vuole essere solo uno spunto per giocare con le erbe spontanee.
Tutti sanno che sapore ha una zucchina. O una melanzana. E la differenza tra le due.
Ma tra ortica e tarassaco? Certo, è incredibilmente evidente, ma se non le avete mai assaggiate…
Noi abbiamo giocato con i soba (tagliatelle giapponesi, so che sembra assurdo ma avevamo quelle in casa!) e con quello che abbiamo raccolto nel pomeriggio.
Cosa serve:
erbe diverse – noi abbiamo raccolto ortica (Urtica dioica), tarassaco (Taraxacum officinale) e romice (Rumex crispus)
olio buono
sale integrale
Come si fa:
Fate appassire ogni erba in un padellino con un goccio d’olio, poi frullatela e usatela per condire pasta, pane, riso…
Lo scopo è quello di sentire i sapori diversi abbinati alla stessa cosa, dire che cosa ci ricordano, con che cosa le abbineremmo.
In più, visto che avevamo raccolto anche qualche germoglio di luppolo (Humulus lupulus) (troppo pochi per condirci la pasta), qualche foglia di acetosella (Rumex acetosa) e delle violette (Viola odorata), abbiamo preparato una frittatina con insalata.
Le violette in realtà erano tantissime (50 g!) e le abbiamo usate per fare lo sciroppo… attendiamo i risultati 🙂
Uscite, guardate per terra, divertitevi a fare un erbario con le specie che incontrate.